3 December 2008, Roberto Rinaldi, Alto Adige
Review (it)

Goebbels: «Così cambio l'opera e la libero...»

BOLZANO. La Fondazione Teatro Comunale punta molto sulla musica contemporanea, ospitando uno dei massimi compositori: Heiner Goebbels, autore di “I went to house but did not enter”, l’ultima sua creazione messa in scena a Bolzano in esclusiva nazionale, domani e venerdì alle 20. Coprodotta dal Festival di Edimburgo, dal Théatre Vidy-Lausanne, Bolzano, Lussemburgo, Francoforte e Strasburgo, è un’opera che si configura come concerto scenico, in cui il protagonista sarà il celeberrimo Hilliard Ensemble. Abbiamo chiesto a Goebbels di presentare questo evento. Lei opta per una messa in scena non convenzionale, concentrandosi solo sulle voci dell’Hilliard Ensemble. Possiamo chiamarla scelta minimalista o anticonformista? Lei ha ragione. Non si può mettere a confronto questa pièce con un’opera opulenta e sovraffollata. Molto spesso non vedo più niente quanto c’è troppo da ascoltare e non sento più niente quando c’è troppo da vedere. Così penso sia meglio parlare di una riduzione invece che di minimalismo. Ho separato un po’ i sensi: l’ascolto dal vedere, per esempio. Qui assembla tre autori così diversi come Eliot, Blanchot, Beckett: crea un legame coerente tra loro? Quale chiave di lettura si è dato per trasformare tre storie diverse in un linguaggio teatrale coerente? Se questa serata è veramente coerente è ancora da decidere. I testi sono effettivamente sia di epoche differenti (1911, 1948, 1983) che di stili molto diversi. Ma questi testi hanno a che fare con questioni sull’esistenza dell’individuo, e tutti quanti lottano contro le difficoltà del loro genere nel ventesimo secolo e infine mancano il grande successo artistico: Eliot con il suo interrotto “canto d’amore”; Blanchot con la sua strana “storia” e Beckett con la sua invenzione di una moderna, secolare “litania”, con la quale concepisce una nuova sorta di linguaggio utopico, dove le parole quasi si dissolvono completamente nella musica. Il messaggio del testo rappresentato è esplicito o lascia al pubblico la libertà d’interpretazioni? Tutti i testi, tutte le immagini sono fatte per la nostra immaginazione. Questo di sicuro: non c’è certezza del loro significato. E loro mi aiutano a considerare il teatro come una forma d’arte, come una proposta di un’esperienza artistica, non come un semplice messaggio. Lei parla di fusione fra arte del suono e arte della parola. Come è possibile fonderle insieme e trarre un linguaggio comprensibile al pubblico? Solo se il pubblico accetta che non deve capire tutto. Come quando ci si approccia alla visual art, o si legge una bella poesia (e se non ascoltiamo quegli insegnanti, che vogliono inculcare le interpretazioni). Poi può essere un finito ma fruttuoso gioco di associazioni, e significati, e questioni per noi stessi. L’arte contemporanea viene spesso criticata per essere indecifrabile. Non lo so se riusciremo in questo sul palco, ma certamente ci sono dei meravigliosi e forti lavori artistici, che toccano moltissimo lo spettatore nonostante siano molto astratti, come un quadro di Rothko, un scultura d’acciaio di Richard Serra, un’installazione di luci di Olafur Eliasson o James Turrell. Come è riuscito a coinvolgere l’Hilliard, famoso per le sue interpretazioni di musica medievale, rinascimentale e contemporanea, ma sempre come ensemble vocale, mentre le ne fa degli attori? In effetti è stata una loro idea di chiedermi una collaborazione. E ho immediatamente accettato, perché amo il loro modo non drammatico di cantare.

on: I went to the house but did not enter (Music Theatre)