GOEBBELS RISCOPRE PARTCH

Heiner Goebbels ama stupire. Se la sua avventura alla Ruhrtriennale lo scorso si era aperta
con un sontuoso e virtuosistico omaggio a John Cage, per l’anno secondo la sua scelta è
caduta su una singolarissima e eccentrica personalità musicale americana del secolo scorso:
Harry Partch. Genialoide e visionario, attivo sia come teorico della (sua) musica sia come
manovale e falegname alla bisogna, la sua musica arriva per la prima volta su una scena
europea superando lo scoglio principale alla sua diffusione: la costruzione di strumenti
sviluppati da lui stesso ad uso esclusivo della sua musica. Il merito maggiore dell’impresa va
all’Ensemble musikFabrik, non nuovo a sforzi titanici (fra tutti, il tenace impegno per la
diffusione nel teatro musicale di Stockhausen), che per l’occasione, non solo ha ricostruito e
migliorato il variegato strumentario sotto la guida di Thomas Meixner, ma anche prestato
tecnica, corpi e voci per ridare linfa vitale al lavoro di Partch presentato al meglio delle
possibilità. A poco meno di cinquant’anni dal debutto californiano, più che la convoluta
drammaturgia sviluppata su un tema giapponese e un tema africano, è l’esecuzione musicale
che dà senso a tale recupero e una collocazione storica alla figura del compositore Partch, le
cui trame sonore costruite su cellule ripetute e ostinati ritmici non possono non farci pensare a
lui come a un padre della fortunata stagione del minimalismo. Quanto alla messa in scena,
firmata da Heiner Goebbels con gli abituali Klaus Grünberg per scene e soprattutto luci e
Florence von Gerkan per i costumi fra il tecnico e l’etnico, non s’allontana di molto dalle
disposizioni sceniche di Partch, che voleva i propri strumenti al centro della scena. Un
recupero interessante, accolto con favore dal pubblico presente.

Stefano Nardelli
Giornale della Musica (IT), 25 August 2013