6 June 2025, Piero Di Domenico, Corriere di Bologna
Interview (it)
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Goebbels, come è nata «Surrogate Cities»? La sua intenzione era di guardare alla città come a un testo?
«È nata da una doppia com- missione: per il ventesimo an- niversario di un’orchestra (la Young German Philharmoni- cs) e per il settecentesimo an- niversario della città di Fran- coforte. Ho considerato mio compito riflettere su entram- bi i versanti: la struttura di un’orchestra con le sue diver- se forme di organizzazione separate, fiati, ottoni, archi, percussioni, e le diverse di- mensioni storico-architetto- niche e politiche della vita in una grande città».
Qual è il suo rapporto con la dimensione urbana?
«Credo ancora che sia il modo di vivere più contem- poraneo. E ovunque si guardi durante le elezioni politiche, che siano negli Stati Uniti, in Polonia e in molti altri paesi, lo vediamo chiaramente nella maggioranza liberale delle popolazioni urbane rispetto a quelle rurali».
Quando ha iniziato a dedicarsi alla musica?
«Da sempre, da quando ho memoria. Sono nato in una famiglia di musicisti e suonavo il pianoforte dall’età di cinque anni. Facevo già finta di dirigere la musica alla radio in piedi su una sedia. Più tardi, da adolescente, pur essendo cresciuto in una piccola città tedesca, ho avuto la meravigliosa fortuna di ascoltare concerti dal vivo delle migliori orchestre, direttori e solisti: Richter, Oistrach, Rostropovich, Celibidache, persino Karajan e la Filarmonica di Berlino. Crescendo ho dovuto studiare sociologia per capire meglio il ruolo della musica e della cultura nella nostra vita, prima di essere finalmente pronto a dedicare la mia vita agli studi musicali e alla composizione».
Lei ha avuto molte collaborazioni in passato. C’è qualcuno con cui le piacerebbe lavorare oggi?
«Io non posso lavorare da solo. Le mie idee sono sempre il risultato di collaborazioni. Purtroppo alcuni dei miei collaboratori più importanti e stimolanti se ne sono andati, lo scrittore Heiner Müller, l’attore André Wilms. Ma ci sono molti col laboratori di lunga data: direttori d’orchestra come Peter Rundel o Andrea Molino, tra i tanti l’Ensemble Modern e il mio team di sound designer, light designer e video designer».
Anche in Italia lei ha un largo seguito. Come si è trovato a lavorare a Ravenna?
«È fantastico lavorare in un teatro che ha cento anni più di me. Sono nato nel 1952 e mi piace presentare e proiettare i diversi strati di questo edificio, di questa città, di costruzione e distruzione, nella visualità sul palco».
Cosa le piace di Ravenna Festival?
«Conoscevo già questo straordinario e famoso festival e ho visitato Ravenna per la prima volta dieci anni fa, iniziando già a parlare di “Surrogate Cities” e di altre idee con Franco Masotti. Sono più che felice che finalmente siamo riusciti a realizzarlo. E in una sede così fantastica, con giovani musicisti davvero straordinari». Ho iniziato a parlare di quest’opera e di altre idee dieci anni fa, sono felice che siamo riusciti a realizzarla.
on: Surrogate Cities (Composition for Orchestra)