11 December 2004, Laura Putti, La Repubblica
Review (it)

Eraritjaritjaka

PARIGI – C’è un quartetto d’archi sul palco, e suona Shostakovich. Il Quartetto op. 110 è coinvolgente, ma non succede niente altro. I quattro olandesi del Mondriaan smettono di suonare e la musica continua (registrata) senza di loro. Si spostano con i leggii. Arriva l’attore. E’ un signore qualunque, non bello e non giovane, ed inizia a declamare senza tregua un testo composto da infiniti aforismi. Ogni tanto prende fiato e cambia il ritmo. La sua voce si fa musica, ed il compositore è nientedimeno che Elias Canetti (Nobel 1981). Compositore, in realtà, dovrebbe essere Heiner Goebbels, il quale, però, ha da tempo deciso di scomporre l’intero luna park dello spettacolo. La luce, le parole, i colori, il teatro e il video: nessuna possibilità gli sfugge. Nel suo nuovo Eraritjaritjaka (che ha per sottotitolo: Museo delle frasi), spettacolo clou del parigino Festival d’Automne, in scena all’Odeon fino al 19, le parole di Canetti, pronunciate da André Wilms come uno "stream of consciousness”, hanno musiche di Shostakovich, Bryars, Scelsi, Crumb, Bach, Ravel e anche Goebbels. L’impossibile titolo è una parola in aranda (dialetto aborigeno d’Australia) utilizzata dallo stesso Canetti. Indica il desiderio per qualcosa che si è perduto. Una saudade, niente di allegro. E il nostro uomo ne è pervaso, anche se il pubblico ride spesso ai suoi toni di voce e alle parole che pronuncia. Il puzzle canettiano ricompone un unico sentimento di solitudine, di isolamento, di solipsismo. Wilms parla e parla. Il quartetto si interrompe e riprende. Improvvisamente la sorpresa: l’attore indossa il cappotto ed esce dal teatro seguito da un cameramen. Il pubblico, interdetto, resta seduto, mentre la facciata di una casa apparsa sul palco diventa uno schermo. Sul quale vediamo Wilms infilarsi in un’auto e percorrere le strade di Parigi. Non smette mai di parlare. Entra in casa e l’orologio segna la stessa ora degli spettatori in teatro. Siede alla scrivania, va in cucina e si fa una frittata, apre la porta e parla con un bambino (il dialogo straordinario del sinologo Kien con il bambino sapiente in Auto da Fé, unico romanzo di Canetti), ma si vede che il rapporto umano non è il suo forte. Il pubblico ride, il voyerismo è inevitabilmente una fonte di (perverso) piacere. A un certo punto, quando lo pensavamo lontano, ormai perduto, l’attore appare alla finestra della casa-schermo sul palco. Il quartetto è scomparso. Lo ritroviamo dentro casa, e allo stesso tempo proiettato sulla facciata. Tutti presenti, e tutti assenti. La vita è un trompe-l-oeil. E lo spettacolo un illusione. Parola di Goebbels.

on: Eraritjaritjaka (Music Theatre)